Pubblicato sulla rivista Altro&Oltre nr. 48, dicembre/gennaio 2024
Nancy Pelosi a Taiwan
Agosto 2022, Nancy Pelosi, speaker democratica del Congresso Usa va in visita ufficiale a Taiwan. Si scatena la reazione Cinese con massiccio dispiegamento di forze militari nell’area. Ed è così che la crisi geopolitica, in atto da tempo, e l’annosa rivalità tra Stati Uniti e la Cina per il predominio militare ed economico sul Pacifico, assurge chiassosamente agli onori della cronaca.
Taiwan, l’anomalia di una democrazia
Come noto, Taiwan è uno Stato democratico e solo di fatto indipendente, non gode del riconoscimento della comunità internazionale. La sua storia comincia nel 1949. Era ancora l’isola di Formosa – estrema propaggine est dell’area continentale cinese -, quando i seguaci di Chiang Kai-Shek oppositori di Mao Tze Tung vi si rifugiarono sconfitti, al termine della Rivoluzione cinese. Da allora i due territori ebbero storie e uno sviluppo economico molto diversi. A Taiwan, come appunto fu ribattezzata l’isola, si consolidò negli anni, uno stato dotato di istituzioni democratiche con le prime elezioni libere nel 1996. In Cina si instaurò un regime comunista che traghettò il paese verso il successo economico che oggi conosciamo. Un boom senza precedenti al mondo, investì entrambi i paesi. Assumendo, per il gigante asiatico, una strana postura: quella di un’economia aperta al “mercato” ma sotto il controllo statale e sviluppandosi, invece, a Taiwan, in forma liberista e capitalista, quella più nota alle nostre latitudini. La Cina però non ha mai riconosciuto Taiwan come stato indipendente, continua a ritenerlo territorio cinese da ricollocare, prima o poi, sotto il suo dominio. Gli Stati Uniti ne difendono invece l’autonomia dichiarandosi, senza mezzi termini, disposti a intervenire anche militarmente. E così il viaggio di Pelosi, haute commis d’état statunitense sull’isola, è stato percepito come una vera e propria provocazione.
Chip circuiti integrati e i loro impieghi “dual use”
Sin qui nulla di tanto diverso da quanto accade, ahimè, in gran parte del pianeta: tra conflitti, rivendicazioni territoriali, scaramucce e vere e proprie guerre. Se invece si guarda più a fondo, si comprende come la vera contesa tra le due super potenze Usa e Cina, sia legata in realtà al predominio tecnologico di cui Taiwan è indiscussa madrina globale. Sull’isola si è consolidata nel corso delle ultime 3 decadi, un’altissima competenza nella fabbricazione e nella ricerca di chip, circuiti integrati sempre più evoluti, il nuovo oro nero contemporaneo. Quelli, di produzione taiwanese coprono il 65% del totale mondiale. E Taiwan occupa il gradino più alto sul podio degli esportatori del pianeta. Sostanzialmente la sua posizione strategica dipende dal fatto che oggi i chip sono onnipresenti nelle nostre vite in qualunque dispositivo. Non esiste oggi apparecchio dotato di elettronica, che non ne sia provvisto: dai computer, al più banale frigorifero passando per le auto. Ma anche questo non sarebbe sufficiente a giustificare l’ostilità tra le due grandi potenze. I taiwanesi, oltre a dominare nell’export di questo componente, ne detengono il primato tecnologico: costruiscono infatti il 90% dei chip più avanzati. Producono cioè semiconduttori di dimensioni estremamente ridotte ad elevatissime prestazioni, quelle che consentiranno di affinare e far progredire le prestazioni dell’Intelligenza Artificiale, e non solo a scopi civili: in prima linea ci sono anche le applicazioni militari e per l’intelligence. Insomma un doppio impiego o dual use in termini correnti. I chip guidano droni, consentono di calcolare la traiettoria dei missili, di migliorare la mira delle armi da fuoco e tanto altro ancora. Ovviamente più la tecnologia degli armamenti è avanzata, maggiore è la loro precisione ed efficacia. La guerra in Ucraina avrebbe avuto tutt’altra sorte se il suo esercito non fosse stato rifornito di un arsenale dotato dei più evoluti chip americani.
Cosa sono i chip
I Chip sono circuiti integrati: piccoli o piccolissimi oggetti alla base del funzionamento di tutto ciò che ci circonda. Un chip, è composto da un minuscolo wafer di materiale semiconduttore con circuiti elettronici integrati. Contiene milioni di componenti elettronici microscopici chiamati transistor che trasmettono segnali di dati. Inizialmente, i chip avevano delle dimensioni fisiche notevoli. L’innovazione continua nella tecnologia dei chip per ha portato allo sviluppo di processori ad alte prestazioni che supportano qualunque tipo di applicazione avanzata di analisi, grafica e machine learning. Oggi i chip possono essere di dimensioni molto piccole anche nanometriche e questo ha consentito applicazioni finora impensabili riducendo notevolmente le dimensioni dei device in cui sono impiegati e, al contempo, aumentandone le prestazioni. Sono realizzati in silicio, un elemento chimico comune che si trova nella sabbia. Il silicio è un semiconduttore: la sua conduttività elettrica si colloca a metà strada tra i metalli come il rame e gli isolanti come il vetro. I principali players nella filiera dell’industria dei microchip sono: Stati Uniti, Cina, Taiwan, Olanda, il Sud Corea e il Giappone. Sono qui le catene di valore attraverso le quali si dispiega la filiera di approvvigionamento dei microprocessori. E Taiwan ne è il centro nevralgico.
Strategie geopolitiche
Gli Stati Uniti d’America, da qualche tempo ormai, si sono resi conto, di quanto fosse grave aver perso importanti posizioni nella competizione internazionale in questo ambito strategico. Proprio loro, che hanno inventato i chip circuiti integrati, semiconduttori, producono oggi solo il 10% della fornitura mondiale e nessuno dei chip avanzati. Dal 2000 hanno scelto di esternalizzare le produzioni dei microprocessori e mantenendo la leadership per quanto riguarda la progettazione. Ora, dipendendo per la gran parte del loro fabbisogno dai produttori asiatici e in particolare da Taiwan – isola sotto la spada di Damocle di un’invasione cinese –, stanno correndo ai ripari. Per cercare di riportare le fabbriche in America, Joe Biden ha varato un piano di aiuti e di sostegno imponente, il “Chip act”: 280 mld di dollari che dovrebbero favorire la ricerca e incoraggiare la produzione locale: una vera e propria operazione di reshoring. Gli Usa hanno poi vietato, a livello globale, l’esportazione in Cina dei chip più avanzati, per impedire che il paese possa recuperare velocemente il ritardo di 7 anni nello sviluppo di questa tecnologia rispetto a Taiwan. Nella stessa direzione si sono mossi un po’ tutti i grandi. Anche l’Unione Europea che consuma il 20% di tutti i chip prodotti al mondo ma ne fabbrica solo il 9%. Ursula von der Leyen ha messo in campo 43 mld di euro per incoraggiare la ricerca e la produzione nell’Unione, dei semiconduttori. La stessa Cina sta facendo altrettanto con uno stanziamento equivalente a 143 mld di dollari.
Cosa emerge da tutto ciò? Secondo la sinologa Giada Messetti, gli Usa temono che la loro supremazia in armi possa essere presto superata dal Gigante asiatico. E non siamo tanto lontani da questa realtà. La Cina investe ingenti risorse in armamenti e la sua flotta ha quasi superato per potenza e prestazioni, quella americana dispiegata nel Pacifico. In questo contesto si comprende come facilmente le mire di Pechino su Taiwan possano realmente materializzarsi trasformandosi in aggressione militare. E la chiave di volta sono proprio i modernissimi chip ad uso militare.
… e quelle economiche
E qui entra in campo l’aspetto economico. Interrompere il flusso di esportazioni di chip da Taiwan a causa di una guerra, sarebbe una catastrofe senza precedenti. Basti pensare che i microchip sono di gran lunga il prodotto che più si è diffuso al mondo nella storia dell’umanità. Dunque la Cina sta ancora alla finestra. Tiene Taiwan sotto costante scacco informatico, vara sanzioni contro la sua industria alimentare, mostra i suoi muscoli armati, ma non crea problemi all’industria dei chip: non le conviene, danneggerebbe in modo drammatico la sua economia con effetto domino devastante sull’economia globale. Nello stesso tempo non lesina le minacce volte proprio a ricattare l’Occidente così fortemente dipendente dall’import taiwanese.
Dunque cosa succederà ora? Taiwan cercherà di mantenere il suo primato tecnologico e di produzione. Investe già moltissimo nell’istruzione di nuovi ingegneri, e le aziende forniscono gran parte della provvista finanziaria e del know how che serve a formarli. La supremazia di questo piccolo stato è al tempo stesso il suo scudo protettivo. Finché resiste, può forse considerarsi al sicuro dalle mire del prepotente vicino. Poi, le sanzioni americane volte a escludere la Cina dal commercio di chip avanzati, dovranno essere opportunamente bilanciate da relative aperture per non danneggiare l’Hi Tech occidentale che in Cina esporta. Il paese è pur sempre il più importante mercato per l’Europa e un mercato globale di grande rilevanza. Affossarlo non conviene a nessuno.
Fonti:
- Corriere della Sera ed. 10 e 11 agosto 2023
- Presa Diretta Rai 3 stagione 2022-2023, “La guerra dei chip”