Pubblicato sulla rivista Altro&Oltre nr. 37, marzo 2021
L’industria 4.0: Smart factory e sistemi interconnessi
L’industria 4.0 è da alcuni anni al centro della trasformazione economica in Italia e nel mondo. Nel nostro Paese è stato varato, più di quattro anni fa, un piano governativo ad hoc che ha poi subito evoluzioni e revisioni per favorire la transizione economica. McKinsey, Boston Consulting e Osservatori del Politecnico di Milano hanno definito gli effetti delle nuove strategie “Quarta rivoluzione industriale”.
Ma cos’è esattamente l’Industria 4.0? Il termine indica una tendenza dell’automazione industriale che integra alcune nuove tecnologie produttive per migliorare le condizioni di lavoro, creare nuovi modelli di business e aumentare la produttività e la qualità produttiva degli impianti. Insomma le nostre fabbriche diventeranno Smart.
Smart factory
L’industria 4.0 passa per il concetto di smart factory e si compone di tre parti:
Smart production: nuove tecnologie produttive che creano collaborazione tra tutti gli elementi presenti nella produzione ovvero collaborazione tra operatore, macchine e strumenti.
Smart service: tutte le “infrastrutture informatiche” e tecniche che permettono di integrare i sistemi; ma anche tutte le strutture che permettono, in modo collaborativo, di integrare le aziende (fornitore – cliente) tra loro e con le strutture esterne (strade, hub, gestione dei rifiuti, ecc.).
Smart energy: tutto questo sempre con un occhio attento ai consumi energetici, creando sistemi più performanti e riducendo gli sprechi di energia secondo i paradigmi tipici dell’energia sostenibile.
La chiave di volta sono i sistemi ciberfisici (CPS) ovvero sistemi fisici che sono strettamente connessi con i sistemi informatici e che possono interagire e collaborare con altri sistemi CPS.
La 4° rivoluzione industriale
Ed eccoci arrivati alla 4° rivoluzione industriale: un processo che sta portando alla produzione industriale del tutto automatizzata e interconnessa centrata sull’adozione di alcune tecnologie definite abilitanti. Le nuove tecnologie digitali avranno un impatto profondo.
- La prima riguarda l’utilizzo dei dati e la loro conservazione.
- La seconda è quella degli analytics: una volta raccolti i dati, bisogna ricavarne valore. Oggi solo l’1% dei dati raccolti viene utilizzato dalle imprese, che potrebbero invece ottenere vantaggi a partire dal “machine learning”: dalle macchine cioè che perfezionano la loro resa “imparando” dai dati via via raccolti e analizzati.
- La terza direttrice di sviluppo è l’interazione tra uomo e macchina, che coinvolge le interfacce “touch”, sempre più diffuse, e la realtà aumentata.
- Infine c’è tutto il settore che si occupa del passaggio dal digitale al “reale” e che comprende la manifattura additiva, la stampa 3D, la robotica, le comunicazioni, le interazioni machine-to-machine e le nuove tecnologie per immagazzinare e utilizzare l’energia in modo mirato, razionalizzando i costi e ottimizzando le prestazioni.
Il mondo del lavoro
Da una ricerca The Future of the Jobs presentata al World Economic Forum è emerso che, nei prossimi anni, fattori tecnologici e demografici influenzeranno profondamente l’evoluzione del lavoro. La tecnologia del cloud e la flessibilizzazione del lavoro, hanno iniziato ad influenzare le dinamiche già a partire dal 2016. Secondo lo studio l’effetto sarà la creazione di 2 milioni di nuovi posti di lavoro, ma contemporaneamente ne spariranno 7, con un saldo netto negativo di oltre 5 milioni di posti di lavoro. L’Italia ne uscirà con un pareggio (200 000 posti creati e altrettanti persi), meglio di altri Paesi come Francia e Germania. A livello di gruppi professionali, le perdite si concentreranno nelle aree amministrative e della produzione: rispettivamente 4,8 e 1,6 milioni di posti distrutti. Secondo la ricerca compenseranno parzialmente queste perdite l’area finanziaria, il management, l’informatica e l’ingegneria. Cambiano di conseguenza le competenze e abilità ricercate: nel 2020 il problem solving rimarrà la competenza non specifica più ricercata, e parallelamente, diventeranno più importanti il pensiero critico e la creatività.
La linea è tracciata e l’emergenza Covid, ha accentuato il solco tra passato e il futuro digitale e interconnesso. Le persone si divideranno tra chi sta di qua e chi di là, per scelta o, talvolta, per necessità.
Il grosso problema dell’Italia è demografico. Non mancano certo i cervelli e le menti adeguate a costruire e rodare il cambiamento, ci sono però larghi, larghissimi strati di popolazione incapaci di apprendere. In buona misura sono gli anziani, molto numerosi alle nostre latitudini, ma non solo. Ci sono anche milioni di Baby boomers, italiani tra i 45 e 55 anni che, proprio la demografia, costringerà a lavorare fin quasi alla vecchiaia e che stentano a tenere il passo. Il problema è tenuto sotto la cenere. Si parla tanto dei giovani, della loro educazione e della loro precarietà nel mondo del lavoro. Si parla molto poco di chi, ancora per vent’anni, dovrà vivere e lavorare in un contesto stravolto, veloce che spiazza di continuo. E sarà la grande sfida alla ripresa della vita normale: è importantissimo mantenere le competenze e la preziosa esperienza di chi non è più giovane, ma bisogna vestirla a nuovo con le indispensabili skill digitali.