Pubblicato sulla rivista Altro&Oltre nr.7, settermbre 2013
Ius soli……due suggestive parole latine che esprimono in modo sintetico ed evocativo il diritto di essere cittadino del paese in cui nasci. Siffatta legge trova attuazione solo nei paesi anglosassoni dell’America del Nord e in molti altri dell’America latina ma non è applicata in Europa.
E’ un antico fondamento giuridico, non a caso fatto proprio da Stati Uniti e Canada nella sua accezione pura, che si giustifica innanzitutto con l’esigenza di queste ex colonie, di popolare i loro immensi territori. Non così per l’Europa ormai da tempo sovrappopolata e che dopo gli incessanti flussi migratori degli ultimi 20 anni, ha visto in molti paesi applicare sostanziali restrizioni al diritto di cittadinanza legato alla nascita sul territorio anche là dove vigeva effettivamente lo ius soli.
Tale premessa per sottolineare che l’accesa querelle sui temi della cittadinanza sollevati dalle proposte della nostra neo ministra Kyenge, ha poco a che vedere con questa espressione tratta dal diritto romano. Non è di ius soli che si deve parlare. Applicarlo in Italia sarebbe oltreché insensato, catastrofico e comunque non è neppure questione presa in considerazione. Nel nostro paese è invece al vaglio una via per riformare la normativa ora in vigore, quella dello ius sanguinis. Ovvero: non importa dove sei nato, la tua nazionalità, che acquisisci al momento della nascita, deriva da quella dei tuoi genitori. Si tratta quindi di mitigare una eccessiva rigidità dell’attuale legge e di introdurre una sorta di “ius soli temperato” (ma ugualmente si potrebbe dire di “ius sanguinis temperato”). Proprio come già attuato in varie forme negli altri paesi dell’Unione Europea, è in esame la possibilità di inserire vari elementi di valutazione al fine di poter dichiarare un soggetto straniero, nato da genitori stranieri (sanguinis), cittadino italiano. Si introdurrebbero sì riferimenti riguardanti il luogo di nascita (soli) ma non solo, anche: il numero di anni di regolare residenza dei genitori e del bambino, la durata della frequentazione scolastica e quindi dell’acquisizione di una certa cultura nazionale che indichi una marcata integrazione dell’individuo nella nostra società. La formula più adatta è ancora in fase di studio.
Male ha fatto la neo ministra Cecile Kyenge ad attingere al concetto di ius soli – seppur con tutte le migliori intenzioni – che accende fuocherelli razzisti e fornisce il destro a faziosi politici per strumentalizzazioni al solo scopo di spaventare. L’uso distorto degli intendimenti della Ministra, paventando l’applicazione letterale del diritto del suolo, evoca il rischio che possano affluire migliaia e migliaia di stranieri tra cui tante donne gravide, migranti in Italia al solo scopo di partorire sul nostro territorio. Chiunque abbia un po’ di buon senso capirebbe immediatamente che, al di là delle possibili stravaganze del Governo italiano, sarebbe l’Unione Europea a dare l’altolà. E da qui si vede come l’abuso mediatico del termine ius soli sia fuorviante e distolga dal focus vero della questione.
Concludo, meglio ancora sarebbe stato prevedere la revisione dell’intera procedura di concessione della cittadinanza che ora viene data a pochi anche tra gli aventi diritto e che scoraggia fortemente i richiedenti, causa la mole di documentazione e l’intricata burocrazia. Di più, sarebbe necessario, con serio pragmatismo e meno chiacchiere, fornire un progetto più organico a livello europeo, che prendesse in esame la riforma e l’armonizzazione delle regolamentazioni riguardanti i vari aspetti dell’immigrazione. Senza pretese di risolvere una questione epocale così complessa, ma con lo scopo di rendere le leggi più chiare, semplici, soprattutto più eque a favore di una vera integrazione e quindi di un reciproco scambio tra culture. Unica soluzione che favorirebbe la valorizzazione di quella grande risorsa che è l’immigrazione in termini di occupazione in servizi essenziali alla persona e in altre attività necessarie al paese, ma da tempo snobbate da noi italiani.