L’elezione del presidente della Repubblica spiegata a mia figlia

L'elezione del presidente della Repubblica - La Costituzione italiana art. 1Le vicende politiche degli ultimi tempi ci hanno avviluppato in un vortice di informazioni, descrizioni di scenari e tatticismi veri o presunti: una ridda di parole e affermazioni perentorie. Una sera, a cena coi miei figli adolescenti, mentre seguivo un concitato talk show, Chiara 17 anni, mi guarda spazientita e dichiara: “mamma, ma cosa sta succedendo? Io non ho capito proprio nulla….”. Era stato appena rieletto Presidente, Giorgio Napolitano. Spesso purtroppo, lascio cadere i commenti dei miei ragazzi. Questa volta invece no. Ho spento il televisore e ho riflettuto per qualche istante. E sì perché non è mica tutto così ovvio. Se conosci le vicende recenti e anche quelle un po’ meno recenti del Paese e magari le hai pure vissute, le cose, se non chiare, risultano quantomeno comprensibili. Ma se hai cuore e occhi di un adolescente la faccenda diventa piuttosto complicata. Con calma quindi, ho spiegato. Prima, in breve, il meccanismo tecnico previsto dalla Costituzione per l’elezione del Capo dello Stato. Poi, semplificando, e cercando il più possibile di essere neutrale e sintetica, ho raccontato il retroscena politico. Ho concluso chiedendo se avessero capito. “Sì mamma grazie”, è stata la risposta che mi ha riempito di soddisfazione.

L’episodio mi ha fatto riflettere. Si parla tanto di giovani ma non si parla la loro lingua. Siamo un popolo di mezz’età che vive una menopausa nevrotica e petulante. I nostri media ne sono lo specchio. Ma la comunicazione è conoscenza ed è la conoscenza che crea quella  consapevolezza indispensabile a risolvere i problemi.  E invece, a partire dalla scuola, domina sovrana la “cattedra”. Si sale sulla pedana e non si spiega, si pontifica. La retorica la fa da padrona, il linguaggio è complicato e la distanza tra generazioni aumenta condita dalla noia. Le ricadute della “non comunicazione”, investono anche i luoghi di lavoro.  E’ diffusa l’indifferenza verso i più giovani. Talvolta manca proprio la cultura di educare e fidelizzare le risorse umane per tramandare il saper fare e le tradizioni aziendali. I ragazzi entrano nelle realtà produttive con la logica usa e getta. Finita la convenienza contrattuale finisce il rapporto di lavoro. E via si riparte da zero e i curriculum si riempiono di rivoli di “non esperienza”. Tra vent’anni chi guiderà le nostre imprese? Chi avrà le competenze tecniche e le abilità artigianali che tanto hanno contato per il successo industriale del Paese? Tanti altri gli esempi possibili, una sola la conclusione: siamo noi i colpevoli di questa deriva. Noi generazione di cinquanta-sessantenni che spesso disprezziamo le nuove tecnologie attaccati al nostro passato convinti – a torto – che fosse meglio del presente digitale. Esercitiamo con protervia il nostro effimero potere, piccolo o grande che sia, senza curarci del nostro primo e più importante dovere: andare incontro al presente, valorizzare il nuovo e usare la nostra esperienza per limitare eccessi ed errori. In una frase: imparare con umiltà a parlare a loro, i nostri figli.

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