Quando le nonne raccontano dei loro tempi parlano di freddo, di acqua da scaldare sul fuoco, di un bagno che ricorreva una volta a settimana, di mancanza di zucchero e di frutta, di spesa da fare al mercato nero – chi se lo poteva permettere naturalmente – e di pane scuro, raffermo e immangiabile. E poi delle brutture che hanno afflitto l’umanità. E questo è accaduto solo nel secolo scorso: storture ideologiche che hanno provocato 2 guerre, conflitti con milioni di morti.
Noi invece no. La generazione del boom demografico è cresciuta negli agi. L’economia italiana e quella europea sono esplose tra gli anni ’50 e gli anni ’70 e hanno regalato a tutti benessere, welfare, cure mediche. Nelle case, acqua corrente, elettricità, elettrodomestici e riscaldamento. Cibo a volontà per tutti. Nessuno in Occidente muore più di fame, casomai di obesità. Pensiamo mai a tutto questo? No. Più spesso denigriamo i tempi moderni attribuendo loro le più turpi derive.
Finché non capita qualcosa…. La notte di Natale del 2013, un incidente ai pali dell’elettricità nella ridente valle del Cadore lascia al buio ed al freddo tutta la zona. Nelle case si spegne luce e riscaldamento. Manca l’acqua calda e durante la notte scende un metro di neve. La sera comincia alle 16,30 quando l’oscurità velocemente avvolge abitazioni, stanze di alberghi e ristoranti. Pochi hanno gruppi elettrogeni che illuminano sparute finestre. Si pensa: ora la luce arriverà, si sente parlare di 70 tecnici Enel intenti a riparare il guasto. Arriverà. Ma non arriva. Manca dalle prime ore del mattino del 26 dicembre, manca il 27 dicembre. Nel pomeriggio ancora nulla. Il buio si avvicina di nuovo. Si brucia legna nei caminetti. I villeggianti fanno la fila nei pochi negozi aperti per munirsi di legna e di candele. Si accendono torce elettriche. Si scalda l’acqua sul fuoco per lavarsi. Di notte è freddo, freddo. Nelle case, tutte ben fornite di coperte e piumini, i letti si vestono pesante. E chi ancora deve arrivare per trascorrere le vacanze in montagna rimane bloccato per strada. Si spengono anche i cellulari per non sprecare la carica che non può essere ripristinata. Manca la rete internet. E’ un blackout che isola migliaia di persone. Ci si sente ributtati indietro nel tempo, ci si sente strani. Anche il computer va usato con cautela. Non si può lavorare che per qualche ora al giorno…….. E così tornano in mente i racconti delle nonne. Delle loro notti al buio, del freddo combattuto con coperte militari e non certo con leggeri piumini messi a due a due per letto.
Si pensa…..e se poi il nostro presente non fosse così male? E se questa grande crisi che affligge le economie del Sud Europa non fosse poi una catastrofe così immane? E’ vero, molta gente sta male, non ha lavoro, ha perso la speranza, è afflitta da una politica inconcludente. Ma quando c’era la guerra e pure subito dopo? Era peggio. Eppure la riscossa è arrivata il paese si è risollevato.
Nasce spontanea una riflessione: un futuro di sviluppo può esserci ancora. Il mondo cresce e la sua economia avanza. Già ora la classe media del pianeta si moltiplica e velocemente. E noi abbiamo molto da dare a chi, vissuto nella povertà fino a ieri, si affaccia ora assetato di consumi e benessere. Si parla di 150 milioni di turisti cinesi a spasso per il pianeta. Cosa manca al nostro Paese per soddisfare le esigenze di questi nuovi consumatori? Nulla. Migliorando l’organizzazione e la capacità di accoglienza possiamo offrire paesaggi mozzafiato, una costa unica al mondo, un territorio ricco di storia, di cultura e di arte. Qualunque sia il verso del nostro sguardo, sbattiamo in qualcosa di prezioso. Dobbiamo esserne consapevoli. Di più, la nostra grande storia e la bellezza artistica che da sempre l’ha contraddistinta hanno fissato dentro di noi buon gusto e una tradizione artigianale senza pari. Siamo i migliori nel design e nella moda e abbiamo un’industria manifatturiera che in Europa è seconda solo a quella tedesca. Le risorse umane di cui disponiamo sono di buon livello e tanti sono i cervelli fini, come testimonia il successo che riscuotono all’estero i nostri giovani laureati.
Le difficoltà cui siamo stati esposti nei secoli e sotto le più svariate dominazioni ci hanno abituato ad avere flessibilità e prontezza nel risolvere i problemi improvvisi. Nelle emergenze facciamo scuola. Quindi cosa frena la nostra comunità? Innanzitutto la mancanza di autostima, il coraggio di dire che siamo grandi, bravi e bellissimi. Poi la volontà di spazzare via privilegi indiscussi che finora sono stati generatori di debito e hanno affossato lo sviluppo: posizioni di rendita che uccidono creatività e merito. E anche un pubblico impiego che ormai da molti anni divora risorse senza restituire servizi adeguati. Una casta politica ridondante, costosa e inefficiente. E non tanto per la sua remunerazione, quanto per l’indotto di clientele e quindi di corruzione che genera. Siamo incastrati tra una classe dirigente che, esalando sospiri mortiferi, combatte per continuare ad assicurarsi la propria parassitaria sopravvivenza e movimenti di protesta del tutto inefficaci che generano prima, esaltazione e poi, confusione e scoramento.
Dobbiamo trovare la via per uscire dal guado e trovare in noi stessi quella lucidità e quella forza che generano fiducia e prospettive. E per farlo dobbiamo tenere viva nei giovani la memoria del nostro passato della nostra storia che è stata una storia di successo. Avere un paese migliore è possibile e dalle difficoltà si può imparare a diventare migliori.